di Elena G. Polidori

Sarebbe stato bello, davvero bello, se dopo una manifestazione come quella di ieri a Piazza Farnese per dare la “sveglia” al governo sui diritti civili, Prodi non si fosse improvvisamente “svegliato” dal torpore e non avesse rilasciato dichiarazioni critiche contro la presenza di tre ministri in piazza. Prodi che critica una parte, seppur minimale, del proprio governo, vuole dire tante cose e nessuna buona. Ma una, in particolare, risulta più pesante delle altre. Ed è quell’ipocrisia, tutta democristiana, di gettare il sasso e nascondere la mano, come quei preti che prima in confessionale ti assolvono da tutti i peccati ma poi, se ti incontrano per strada, abbassano lo sguardo per non incrociare quello di una donna di malaffare. Il popolo che ieri si è riunito a Roma per manifestare sulla necessità oggettiva di ampliare i diritti civili non si meritava certo questa presa di distanza che, invece, tanto è piaciuta Oltretevere. Tanto meno se la meritavano quei tre ministri che, in barba alle pressioni dei poteri forti di questo Paese, sono saliti sul palco per dimostrare agli elettori di avere punti di riferimento laici e costituzionali dai quali non hanno nessuna intenzione di prescindere, anche se la famigerata logica dei numeri in Parlamento dovesse costringerli ad andare a casa con grande anticipo rispetto alle previsioni. Il popolo di piazza Farnese questo aspetto lo aveva ben presente. Infatti, ce l’avevano tutti con una parte ben precisa di questa inadeguata classe politica. Ce l’avevano con Mastella, con la Binetti, con Andreotti. E, soprattutto, con il Vaticano, con quel Papa che ormai parla solo della politica di quello che pensa essere il suo cortile di casa e che non perde occasione per alimentare lo scontro, ormai aperto, tra la Conferenza episcopale e lo Stato Italiano. Una contrapposizione così forte e inaccettabile che ha spinto persone diverse tra loro a spendere decine di ore in treno solo per esserci e dire il proprio no ad un “partito di Dio” che sta facendo di tutto perché gli ultimi del mondo restino tali e non viceversa.

Lo dicevano chiaramente, ieri in piazza, alcuni manifestanti. “E’ solo colpa del Papa – commentano quasi con rabbia Nunzio e Nicola, coppia omosessuale pugliese, dieci ore di treno sulle spalle per essere presenti – e della sua ingerenza nella politica di questo Paese se in Italia un milione e 200 mila coppie di fatto non possono avere pari diritti delle coppie sposate”. “Ma soprattutto – li ha interrotti ad un certo punto Elisabetta, romana di 28 anni, mano nella mano con Emanuela, sua compagna ormai da cinque anni – ce l’abbiamo con chi lo ascolta, con quella classe politica che in Parlamento non risponde più al proprio elettorato o alla Costituzione, ma si fa dire come deve votare dalla Chiesa che è sempre più un partito politico oscurantista”.

Ma non c’erano solo loro. C’erano anche famiglie con bambini, giovani in gruppo in pieno stile gita scolastica e anche qualche prete vero come don Alfredo, una parrocchia a Tormarancia, suburba romana poco tranquilla, che si guardava intorno per capire senza intenzione alcuna di condannare. Ma, soprattutto, in piazza c’era molta rabbia, che si sprigionava nei toni degli slogan issati sui cartelloni e ben più numerosi delle bandiere delle associazioni omosessuali (da Arcilesbica ad Arcigay passando per il circolo Mario Mieli); più che semplici canzonature, più che spigolature, anche graffianti, verso i politici contro i Dico, alcune frasi erano vere e proprie sassate in faccia, insulti pensati per fare male a chi “vuole far ritornare questo paese – parole di Alessandra, madre di Giulio, 2 anni e compagna di Paolo – indietro fino al Medioevo”. E allora ecco “Meno Binetti, più diritti”, “Più autodeterminazione, laicità, antifascismo, meno Vaticano”, “Meglio gay che Opus Dei”, ma anche un pesantissimo “Joseph e George, stiamo lottando anche per voi” con annessa foto del giovane segretario particolare di Benedetto XVI. E ancora "Binetti, Binetti, noi deviati mentalmente è una frase da teo-demente" e dopo una salva di fischi che ha accompagnato un cartellone con la foto di Mastella con la tiara cardinalizia in testa, vicino al palco ne è apparso uno di quelli che non si scordano: “Andreotti contro i gay, dindirindina, baciava in bocca Toto' Riina...”.

Slogan duri, impietosi. E del tutto scollati dalle parole che i vari personaggi hanno proposto dal palco. Toni concilianti, inviti al dialogo, una colonna sonora a base di Madonna e di Loredana Bertè, ma niente di enfatico, nessuna parola forte. Gli organizzatori – ma lo si è capito solo alla fine della manifestazione – hanno chiesto a tutti di non caricare la folla con le parole. Soprattutto, di non parlare male della Chiesa. Un fatto che ha convinto Alessandro Cecchi Paone, che con Pierluigi Diaco avrebbe dovuto condurre la kermesse, ad abbandonare il campo. ''Ma siete matti – ha urlato il popolare presentatore - mi hanno chiamato cento volte per dirmi di non parlare contro la Chiesa e di non dire una parola contro il Vaticano. Ma dico, stiamo scherzando?''. Per niente. La parola d’ordine che la politica voleva mandare avanti era “dialogo”, dimostrare che si può lottare per un diritto senza contrapporsi. E se la Chiesa erige barricate, dall’altra parte ci dev’essere anche chi dimostra più saggezza e si siede comunque al tavolo.

Lo ha detto chiaramente la prima dei tre esponenti del governo che sale sul palco, la diessina Barbara Pollastrini, prima firmataria del ddl del governo, giro di perle d’ordinanza davanti ad una platea di ultimi: “Ce la metterò tutta, ma allarghiamo il dialogo e muoviamo tutte le coscienze...”.”Da questa piazza arriva un grande messaggio, un forte segnale. C'è qualcosa che può unire e questo è l'amore e il rispetto per le persone. Io mi impegnerò per difendere l'autonomia delle politica e rispondere alle esigenze dei cittadini”. Applausi dalla folla. E prime reazioni sdegnate dalla Cdl che qualcuno ha subito veicolato al secondo ministro chiamato a salire sul palco, Alfonso Pecoraro Scanio, che non ha perso l’occasione: “Inviterei la destra italiana, visto che siamo sotto l'ambasciata francese, a fare un salto a Parigi ed a vedere come si fanno le politiche sui Pacs e la famiglia. La verità è che abbiamo una destra illiberale, che non fa neanche quello che le altre destre europee fanno”. Ancora applausi. “Il governo ha varato il ddl – queste invece, le parole del terzo ministro salito sul palco, Paolo Ferrero - ora si cominci a discutere sui contenuti invece di avere posizioni ideologiche ;sulla legge sui Dico va trovato un punto di incontro tra posizioni differenti".

Ma il dialogo non serve se si parla a un sordo. E sono in parecchi a non voler sentire o a sperare che i Dico siano abbandonati sull’altare della sopravvivenza di questo governo chiamato a riscrivere la legge elettorale prima di ogni altra necessità del Paese. Ecco perché anche questa legge parziale sui Dico, firmata dalla Pollastrini e dalla Bindi e che sta vivendo un difficile iter in commissione in Senato, può rappresentare una faglia nella recinzione ideologica con la quale i vari Teocon e Neocon tentano di imbrigliare la società spegnendone ogni possibilità di maturazione e di progresso. E’ una questione di diritti: i nuovi che vengono negati e i vecchi che si mira a ridiscutere. I Dico, con tutti i limiti che si portano appresso, possono rappresentare un punto di partenza per una battaglia più avanzata che metta al centro dell’agenda della politica i reali bisogni di centinaia di uomini e donne decisi a fare in modo che le loro realtà affettive abbiano la stessa dignità di quelle incardinate nelle regole giuridiche e sociali. Il ddl sui Dico è uscito da Palazzo Chigi, non da Gomorra. Ma Prodi l’equilibrista se ne è già dimenticato...




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